Dopo le elezioni locali in Germania, vinte dai partiti anti-sistema, i partiti al governo non mettono in discussione i propri errori. Al contrario, invocano un cordone sanitario per emarginare gli estremisti. Ma sono proprio le loro politiche ad aver profondamente diviso la società e impoverito il Paese.
Subito dopo i risultati delle elezioni nei Länder della Turingia e della Sassonia, che hanno visto la vittoria inequivocabile dell'ala destra sovranista di Alternative für Deutschland e dell'ala sinistra populista di Sarah Wagenknecht, con il corrispondente crollo dei partiti di governo della coalizione "Semaforo" (socialdemocratici, liberali e verdi), è arrivata l'annuncio da parte di due delle più grandi case automobilistiche tedesche, Volkswagen e Audi, di chiusure di stabilimenti e migliaia di licenziamenti.
I due eventi sembrano richiamarsi, legati in un cerchio ormai difficile da spezzare. L’economia industriale tedesca, quella che fino a pochi anni fa era considerata la “locomotiva d’Europa”, è stata letteralmente messa in ginocchiodalla combinazione di due fattori che non sono frutto di una fatalità imprevedibile, ma di scelte politiche consapevoli delle forze politiche governative tedesche e prima ancora della Cdu, attraverso la precedente maggioranza guidata da Angela Merkel e la guida della Commissione europea di Ursula von der Leyen: la politica del “Green Deal” dettata dall’adesione all’ideologia apocalittica del climateismo e dalla netta opposizione alla Russia nel conflitto Mosca-Kiev.
Il fondamentalismo dogmatico dell’UE per la transizione energetica, di cui la classe politica berlinese è stata la più convinta sostenitrice, ha portato alla demolizione del settore automobilistico tedesco ed europeo, e più in generale di tutta la produzione meccanica, metallurgica e metallurgica, a favore dell’industria cinese, quasi monopolista di materie prime, componenti e spesso anche prodotti finiti nel campo della mobilità elettrica e degli impianti per le energie rinnovabili.
E ha causato, da un lato, un’impennata dell’inflazione dovuta proprio alla corsa alle materie prime e ai disincentivi a scapito di un’energia giudicata non “sostenibile”, e dall’altro un aumento, questo davvero insostenibile, del costo della vita per le famiglie dovuto proprio ai rigidi obblighi ambientali imposti, con conseguenti aspettative sempre più pessimistiche per il futuro.
In una situazione economica già ampiamente compromessa da scelte ideologiche così irresponsabili, nel 2022 è precipitata l'invasione russa dell'Ucraina. La Germania, che da decenni sviluppava intensi rapporti economici e politici con Mosca, dopo una prima, breve fase in cui aveva timidamente tentato di svolgere un ruolo di mediazione è stata bruscamente richiamata all'ordine dagli Stati Uniti, come tutti gli alleati europei della NATO, e ha dovuto adeguarsi a una linea di totale opposizione con i russi, vedendo le proprie esportazioni gravemente danneggiate dalle sanzioni e soprattutto dovendo rinunciare al gas russo.
Ciò ha contribuito in modo significativo ad alimentare e ad aumentare gli elementi di crisi economica già innescati dagli sconsiderati programmi verdi e dalla chiusura delle centrali nucleari imposti dai Verdi.
Il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholzha cercato di fare di necessità virtù riconvertendo in parte la produzione industriale nazionale in armamenti per gli ucraini, ma si tratta chiaramente di un ripiego, alimentato comunque da stanziamenti pubblici, che non potrà compensare il business perso. In queste condizioni, non sorprende che la Germania sia diventata, da Paese leader, il “malato” dell’UE, sprofondando più di altri, in un clima di bassa se non assente crescita per gran parte del continente, in recessione.
A questo quadro di pessimismo e di forte tensione sociale si aggiunge un terzo elemento deflagrante: i sempre più ingestibili conflitti legati all’immigrazione,soprattutto dai Paesi musulmani, favorita indiscriminatamente in passato da Angela Merkel e poi fatta propria come dogma dalle attuali forze governative in nome di un multiculturalismo acritico, ma le cui contraddizioni legate allo “scontro di civiltà” vengono ora continuamente alla luce - da ultimo con spargimenti di sangue prodotti dall’odio puro come la recente strage di Solingen, che ha spinto tardivamente persino Scholz a promettere un giro di vite sui flussi irregolari.
In questo contesto, come sorprendersi che un numero crescente di elettori, in particolare nelle regioni economicamente più in difficoltà e tra i gruppi operai e giovanili, continui a scegliere sempre più di votare per partiti come Afd o Bsw, gli unici sul “mercato politico” nazionale a sfidare l’agenda verde, l’immigrazionismo a tutti i costi e la “guerra senza fine” con la Russia in cui sono stati risucchiati i membri europei dell’UE e della NATO?
Ormai è diventata una triste e ripetitiva abitudine in Europa e in tutto l'Occidente:di fronte ai successi della destra "populista" e "sovranista" - o della sinistra radicalmente anti-politicamente corretta come quella di Wagenknecht - le élite politiche, intellettuali e mediatiche schierate quasi unanimi nel campo progressista/woke si strappano le toghe scandalizzate, lanciano gemiti di indignazione, demonizzano le forze dissidenti dalla loro agenda additandole come razziste, fasciste, naziste, invocano contro di loro "un'unione sacra" e un "cordone sanitario" in nome della difesa della democrazia- come sta accadendo, appunto, per l'ennesima volta in Germania.
Certamente, almeno nel caso tedesco, non mancano accenti estremisti nelle voci di protesta dirette a quelle forze. Ma la logica del “cordone sanitario” - in Germania come in Francia, come nell’UE dopo le recenti elezioni europee - non ottiene altro che creare coalizioni innaturali, paralizzate da veti radicati, irrigidite in posizioni astratte e radicali, e quindi radicare la crisi e accentuare le lacerazioni nell’opinione pubblica, polarizzando ulteriormente lo scontro e radicalizzando anche il dissenso.
Da questo punto di vista, la posizione più paradossale è quella della Cdu/Csu, che raccoglie i frutti dell'opposizione mantenendo i propri consensi o perdendone di meno, e canalizza parte del disagio che premia anche i movimenti populisti/sovranisti, ma poi rifluisce, come nella maggior parte dei partiti popolari del vecchio continente,nella retorica del “cordone sanitario”, quando potrebbe e dovrebbe cercare di romperlo, di lanciare ponti di dialogo per raggiungere gli elettori esasperati e comprenderne le ragioni, di mettere in discussione i punti più vessatori di quell'agenda ideologica, anziché radicalizzarla ancora di più.
Il riflesso che mira a escludere i “paria” da ogni agilità politica prepara pericolosamente la crisi strutturale delle democrazie occidentali e può favorire proprio ciò che dicono di voler impedire: la loro sovversione e la caduta delle società in una strisciante guerra civile.
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